La regolamentazione della convivenza
La regolamentazione dei rapporti di convivenza di fatto è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge Cirinnà, in vigore dal 5 giugno 2016 (legge 20 maggio 2016, n. 76).
Oggi per “conviventi di fatto” si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Quella che era fino a ieri una scelta di assoluta libertà, da parte di chi non intendeva sottoporsi ai vincoli del matrimonio, né religioso né civile, diventa un rapporto che, pur instaurato in via di fatto, senza particolari formalità, comporta il sorgere di diritti, ma anche di doveri, in capo a ciascuno dei conviventi.
In realtà una disciplina legislativa delle famiglie di fatto era da tempo attesa, vista la loro rapida diffusione in tutta Italia. Secondo l’Istat, il loro numero si è pressoché raddoppiato negli ultimi cinque anni, pertanto la mancanza di una legge che le regolasse in modo specifico poteva essere fonte di problemi.
La prova della convivenza
Come abbiamo visto, per “conviventi di fatto” si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
La legge stabilisce che, ferma restando la sussistenza di tali presupposti, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza prevista dal Regolamento anagrafico della popolazione residente (art. 13, comma 1, lettera b, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, richiamato dall’art. 1, comma 37, della legge 20 maggio 2016, n. 76), che comporta la costituzione di una famiglia agli effetti anagrafici, intesa come “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune” (art. 4 del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223).
La presenza di un vincolo affettivo, che deve essere naturalmente dichiarato dagli interessati, comporta dunque l’iscrizione dei coabitanti in un unico stato di famiglia, così come avviene (automaticamente) per i coniugi (gli uniti civilmente) coabitanti.
Nonostante la legge non si esprima chiaramente su questo aspetto, non sembra che la dichiarazione anagrafica (prevista dall’art. 1, comma 37, della legge 20 maggio 2016, n. 76) possa essere considerata un elemento costitutivo della convivenza di fatto, che nasce appunto dal solo fatto della coabitazione di due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
La dichiarazione anagrafica è però necessaria, nella maggior parte dei casi, per fornire la prova necessaria all’accertamento della stabile convivenza.
Occorre senz’altro la presenza della dichiarazione anagrafica al fine di poter stipulare un contratto di convivenza, non essendo possibile per il notaio verificare altrimenti la ricorrenza del presupposto di una convivenza di fatto. La dichiarazione anagrafica sarà inoltre probabilmente richiesta al fine di poter esercitare i diritti riconosciuti dalla legge ai conviventi, come ad esempio il diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni in caso di ricovero ospedaliero, o la preferenza nell’ambito dei procedimenti di assegnazione degli alloggi di edilizia popolare.
Si può invece ipotizzare che la prova della convivenza di fatto venga fornita con altri mezzi, sia pure con maggiore difficoltà, da ciascun convivente, nell’ambito di un procedimento giurisdizionale, per esempio al fine di far valere davanti al giudice il diritto agli alimenti in seguito alla cessazione della convivenza di fatto, in presenza dei presupposti previsti dalla legge.
I diritti dei conviventi
Ai conviventi sono espressamente riconosciuti dalla legge alcuni diritti, che derivano automaticamente dalla situazione di convivenza di fatto.
In caso di malattia o di ricovero ospedaliero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, secondo le regole previste per i coniugi e i parenti (art. 1, comma 39, della legge 20 maggio 2016, n. 76). I conviventi di fatto hanno anche gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario (art. 1, comma 38, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto (art. 1, comma 45, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Il convivente ha diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito del terzo, in caso di decesso del convivente (art. 1, comma 49, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Il convivente di fatto può presentare richiesta di interdizione o inabilitazione, ricorrendone i presupposti (art. 1, comma 47, della legge 20 maggio 2016, n. 76) e può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti, ovvero si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica (art. 1, comma 48, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Ricordiamo anche che è possibile, con uno specifico atto notarile, designare preventivamente il convivente quale soggetto destinato ad assumere il ruolo di amministratore di sostegno in caso di incapacità. In tal caso il giudice tutelare non può designare un amministratore di sostegno diverso, salvo che ricorrano gravi motivi (art. 408 del codice civile).
Ciascun convivente di fatto, inoltre, può designare l'altro quale suo rappresentante, con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
La designazione è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone (art. 1, comma 41, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Altre informazioni:
Il contratto di convivenza
I diritti del convivente nella successione
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