La vendita con riserva della proprietà può consentire la conclusione di una compravendita immobiliare nei casi in cui l’acquirente non riesce a ottenere accesso al credito bancario. Attraverso la dilazione (in tutto o in parte) del prezzo, che viene pagato ratealmente, il venditore di fatto finanzia l’operazione di acquisto da parte dell’acquirente, ed è tutelato contro il rischio di inadempimento dal meccanismo della riserva di proprietà.
Fino a qualche anno fa non c’era la necessità di ricorrere a questo tipo di accordi, dato che era molto più semplice che l’acquirente stipulasse un mutuo bancario. Oggi, con le maggiori difficoltà di accesso al credito da parte di molti soggetti, la vendita con riserva della proprietà è un’alternativa che può essere presa in esame.
La vendita con riserva di proprietà, definita anche vendita con patto di riservato dominio, è disciplinata dal codice civile nell’ambito della vendita di beni mobili.
La legge prevede che nella vendita a rate con riserva della proprietà il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna (art. 1523 c.c.). Nonostante il patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive (art. 1525 c.c.). Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre il risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta (art. 1526 c.c.).
La vendita con riserva della proprietà è abitualmente impiegata nell’ambito della cessione di azienda, che prevede spesso un pagamento rateale del prezzo.
In passato sono stati avanzati dubbi circa la possibilità di applicare la riserva di proprietà alla compravendita immobiliare, proprio perché espressamente prevista dalla legge solo nell’ambito della compravendita di beni mobili. Tuttavia non esiste alcuna norma che ne limiti l’applicazione, e in realtà c’è un ambito specifico in cui la riserva di proprietà è utilizzata da decenni nell’ambito della compravendita immobiliare: le vendite di terreni agricoli da parte di un ente pubblico economico, l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), che avvengono tradizionalmente proprio con la clausola di riservato dominio.
Negli ultimi anni, dunque, si è sempre più diffusa l’opinione favorevole all’applicazione generalizzata della vendita con riserva di proprietà anche in ambito immobiliare.
In questo caso, l’acquirente assume immediatamente a proprio carico i rischi relativi all’immobile, ma non ne acquista la proprietà fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo.
L’acquirente deve pertanto sostenere le spese di manutenzione ordinarie e straordinarie dell’immobile dal momento dell’atto, pur non essendone ancora proprietario.
La vendita con riserva di proprietà viene trascritta nei registri immobiliari, ma in essi viene segnalata la presenza di una condizione, e ciò consente di tutelare il venditore in caso di atti dispositivi da parte dell’acquirente. In seguito al completo pagamento del prezzo sarà dunque necessario un atto di quietanza che consentirà di far risultare nei registri immobiliari il venir meno della riserva di proprietà.
Le imposte indirette previste per il trasferimento della proprietà dell’immobile (imposte di registro, ipotecarie e catastali, IVA) si applicano al momento dell’atto, nonostante l’apposizione della clausola di riserva della proprietà. Il testo unico dell’imposta di registro, infatti, dispone espressamente che non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva di proprietà (art. 27, terzo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Anche nella disciplina dell’IVA la vendita con riserva della proprietà è considerata cessione di beni ai fini dell’applicazione dell’imposta (art. 2, secondo comma, del d.P.R. 663/1972).
Invece, per individuare il momento di decorrenza dei cinque anni richiesti per la tassazione o meno della plusvalenza eventualmente realizzata con la rivendita del bene (art. 67, comma 1, lettera b, del TUIR), secondo l’Agenzia delle entrate assume rilevanza soltanto il momento in cui si verifica l’effetto traslativo, e non quello in cui era stato stipulato l’atto di compravendita (risoluzione 30 gennaio 2009, n. 28/E).
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